Autonomia e reciprocità in autoformazione adulta in Forme e figure dell’autoformazione di Ivana Padoan, Pensa multimedia, Lecce, 2008; pp. 263-282.
di Alessandra Petronilli
La complessità del nostro tempo richiede sempre di più all’adulto di farsi attore responsabile e consapevole della propria azione, di orientarsi a partire da sé e dalla interpretazione dei contesti di cui è parte. L’auto-formazione si fa in questo senso un processo fondamentale per poter riflettere su di sé e sulle proprie modalità interpretative e di relazione, per potersi riconoscere come attrici e attori sociali in un gioco sinergico tra cognizione e matacognizione, tra conoscenza di sé e del mondo a partire da processi relazionali comunicativi e metacomunicativi. L’autoformazione sembra chiamata a diventare modello, pratica e orientamento per la formazione degli adulti, per i percorsi di counseling o di psicoterapia che vogliano appunto promuovere e riconoscere all’individuo la responsabilità della sua azione, delle forme di reciprocità in cui si intessono le sue storie di vita, delle sue scelte personali eppur sempre di relazione.
L’azione formativa sembra chiamata a rimodellare l’eterodirettivita in autodirettività, a ripensare i suoi paradigmi di fondo e le sue epistemologie in un’ottica attenta all’ecologia delle relazioni, dei sistemi del mondo postmoderno in cui flessibilità, cambiamento e interazione divengono emergenze cognitive ed emotive per ognuno.
A partire da queste considerazioni, emerse in modo particolare dalle storie di donne e uomini con i quali ho condiviso un’esperienza formativa di counseling di gruppo, ha preso forma Autonomia e reciprocità in autoformazione adulta: una “figura” del e per l’autoformazione, una traccia, un’autoriflessione, un contributo che ha voluto essere insieme personale e sociale della maratona esperienziale “Il viaggio di Ulisse. Il ritorno ad Itaca”, esperienza condotta da Elivino Miali (medico, psicoterapeuta), Vera Cabras (psicologa, psicoterapeuta) e Meri Zuin (psicologa, psicoterapeuta) e condivisa con il gruppo iscritto al primo anno del master in Gestalt Counseling nel 2007.
Il saggio, contenuto in Forme e figure dell’autoformazione di Ivana Padoan, ha voluto dare testimonianza della necessità, dettata dalla complessità delle cornici della postmodernità, e della possibilità trasformativa di passare da un’idea di educazione degli adulti ad una di formazione orientata all’autoformazione, ponendo al centro della riflessione sull’apprendimento degli adulti gli intrecci sistemici dei processi auto poietici e trasformativi.
Nel corso della maratona esperienziale si è avvertita un’intensità e una “protezione”, un clima di fiducia e di reciproco riconoscimento capaci di disegnare un contesto interattivo estremamente fecondo per quei passi delicati che avvicinano ai confini in cui il cambiamento può farsi praticabile. Proprio in tale dimensione, come si è voluto argomentare attraverso la rielaborazione di drammatizzazioni sperimentate dai partecipanti, si sono avviati processi trasformativi di dinamiche personali complesse e conflittuali in cui a livello relazionale sono emersi doppi legami comunicazionali e rischi di confusione contestuale o trans-contestuale.
Quanto si sostiene in ultima analisi è che “la via estremamente rischiosa del cambiamento in cui confusione e abilitàtranscontestuali [1] mettono in gioco l’identità e la stabilità del sé [2] può essere pensata come praticabile solo in contesti di apprendimento in cui la reciprocità della relazione, intesa come apertura non oppositiva delle parti nel loro reciproco descriversi, non solo sia costantemente mantenuta come premessa, ma sperimentata come accettazione delle differenze dell’altro e come possibilità di apprendimento” (cit., p. 281.).
L’attenzione allo strutturarsi dei contesti, quindi alle forme di reciprocità e alla comunicazione interpersonale verbale e non verbale che li definisce, diviene in questo senso prioritaria per i setting formativi e di counseling in cui l’adulto possa rimettere in gioco aspettative, idee, autoinganni emotivi e cognitivi che spesso bloccano i processi trasformativi, e in cui ciascuno possa sperimentarsi come attore-autore sempre più autonomo, consapevole e creativo dello stesso processo di formazione di cui partecipa.
[1] Bateson G., Verso un’ecologia della mente, pp. 295.
[2] “L’epistemologia inconscia, come vengono usati i nostri sensi, è un campo di conoscenze celate nel profondo, e queste conoscenze nascoste stanno fra la comprensione cosciente e il mondo esterno per rassicurarci sulla realtà del “sé”, sicché, quando le premesse inconsce dell’epistemologia sono sconvolte dall’esperienza del doppio vincolo (paradossi) sentiamo che le nostre placide illusioni circa il sé sono scosse. ” Idem, Una sacra unità. Altri passi verso un’ecologia della mente, cit., p. 325.