

Premessa di Denia D’Alberton, Psicologa
Conoscere ma soprattutto saper riconoscere il mobbing può essere importante sia per le aziende sia per i lavoratori.
Prevenire alcuni dei meccanismi sottostanti a questo fenomeno e/o saper affrontare oltre che ridurre le eventuali conseguenze negative che possono crearsi in presenza di Mobbing può esser molto utile e può arrecare beneficio sia per quanto riguarda la salute psicologica dei singoli, sia per quanto riguarda la redditività delle aziende.
In questa prima parte verrà spiegato meglio cos’è il mobbing e in quali casi si può parlare di mobbing; premessa indispensabile per passare poi, nelle successive fasi, ad analizzare le dinamiche psicologiche sottostanti a questo fenomeno ed i comportamenti ed atteggiamenti efficaci che si possono adottare per contrastarlo.
LA VIOLENZA MORALE SUL LAVORO: Introduzione al Mobbing
La violenza psicologica è un fenomeno antico, presente in molti contesti lavorativi, causato dal deteriorarsi delle relazioni interpersonali e da disfunzioni organizzative. Questo comportamento è legato a molteplici fattori che, oltre a motivazioni di ordine socio-economico, comprendono atteggiamenti discriminatori basati su genere, religione, origine etnica, età, nazionalità, disabilità, cultura, orientamento sessuale ed altre forme di diversità.
È generalmente ammesso che il mobbing si manifesti in tutto il mondo e in ogni ambiente di lavoro, anche se è un fenomeno strettamente legato alla cultura dei singoli paesi; di conseguenza le modalità di esercizio del mobbing e il grado di sensibilità possono variare da paese a paese.
Il primo ricercatore che tratta in modo scientifico il tema è Heinz Leymann, psicologo tedesco che, a conferma di quanto non appena detto, trova maggiore sensibilità e attenzione in Svezia dove trascorre la maggior parte della sua vita di lavoro.
Leymann adotta il termine “mobbing” dall’etologia, in particolare dagli studi di Konrad Lorenz. Il termine, che in senso letterale significa “accerchiare qualcuno/a per attaccarlo/la“, definisce il comportamento di alcune specie animali che assalgono un componente del gruppo che per vari motivi deve essere espulso.
applicato all’ambiente lavorativo, il termine mobbing va ad indicare il comportamento aggressivo e minaccioso di uno o più componenti del gruppo, gli “aggressori”, verso un individuo, il “bersaglio” o la “vittima”. Occasionalmente il mobbing può essere praticato su gruppi di individui.
Heinz Leymann inizia i suoi studi nei primi Anni ’80 e a lui va attribuito il merito di aver tracciato un quadro generale del fenomeno, studiandone le varie caratteristiche, tra cui gli aspetti epidemiologici, gli effetti sulla salute e la prevenzione” (OMS-ISPESL-ICP-IST, 2003).
Il termine Mobbing è usato per definire il complesso di azioni e reazioni che ha luogo in una situazione di terrorismo psicologico esercitato sul posto di lavoro.
Nei primi anni ’80 il Prof. Heinz Leymann, che coordinava un gruppo di studio in Svezia, utilizzò la parola Mobbing per descrivere, all’interno degli ambienti di lavoro, situazioni nelle quali sono presenti forme di violenza psicologica, persecuzioni, aggressioni sia fisiche che verbali, protratte nel tempo e che si esprimono in un insieme di comportamenti messi in atto ai danni di colleghi o superiori.
Le forme che il Mobbing può assumere sono molteplici: dalla semplice emarginazione alla diffusione di maldicenze, dalle continue critiche alla sistematica persecuzione, dall’assegnazione di compiti dequalificanti alla compromissione dell’immagine sociale nei confronti di clienti e superiori.
Nelle azioni più gravi si arriva anche al sabotaggio del lavoro e ad azioni illegali. Il Mobbing ha effetti devastanti sulla persona colpita: essa viene danneggiata psicologicamente e fisicamente, menomata nella sua capacità lavorativa e nella fiducia in sé stessa.
La pratica del mobbing sul posto di lavoro
La pratica del mobbing consiste nel vessare il dipendente o il collega di lavoro con diversi metodi di violenza psicologica (attacchi alla persona e/o attacchi alla carriera professionale) o addirittura fisica. Ad esempio: sottrazione ingiustificata di incarichi o della postazione di lavoro, dequalificazione delle mansioni a compiti banali (fare fotocopie, ricevere telefonate, compiti insignificanti, dequalificanti o con scarsa autonomia decisionale) così da rendere umiliante il prosieguo del lavoro; rimproveri e richiami, espressi in privato ed in pubblico anche per banalità; dotare il lavoratore di attrezzature di lavoro di scarsa qualità o obsolete, arredi scomodi, ambienti male illuminati; interrompere il flusso di informazioni necessario per l’attività (chiusura della casella di posta elettronica, restrizioni sull’accesso a Internet); continue visite fiscali in caso malattia (e spesso al ritorno al lavoro, la vittima trova la scrivania sgombra). Insomma, un sistematico processo di “cancellazione” del lavoratore condotto con la progressiva preclusione di mezzi e relazioni interpersonali indispensabili allo svolgimento di una normale attività lavorativa. Altri elementi che fanno configurare il mobbing, possono essere “doppi sensi” o sottigliezze verbali quando si è in presenza del collega oggetto di mobbing, cambio di tono nel parlare quando un superiore si rivolge al collega vittima, dare pratiche da eseguire in fretta l’ultimo giorno utile. Un esempio puo’ essere il seguente: un collega, in presenza di altri colleghi, li invita ad una cena chiedendo ad ognuno di loro “allora te l’ha detto Caio che stasera vieni con noi a cena?”, mentre al collega mobbizzato gli dice invece “tu non vieni?”. Molte volte succede che l'”ordine” di aggressione al collega mobbizzato viene dall’alto ed è finalizzato alle dimissioni di qualcuno. In questo caso i colleghi che effettuano il mobbing eseguono servilmente le disposizioni del superiore anche se il collega mobbizzato non ha fatto niente di male a loro. Tutte queste situazioni ed in genere gli attacchi verbali non sono facilmente traducibili in “prove certe” da utilizzare in un eventuale processo per cui è anche difficile dimostrare la situazione di aggressione.
E’ quindi chiaro che il mobbing non è una malattia ma rappresenta il termine per indicare la complessiva attività ostile posta in essere solitamente da un datore di lavoro (pubblico o privato, da solo o in combutta) per demansionare il lavoratore, isolarlo e obbligarlo al trasferimento o alle dimissioni.
Per potersi parlare di mobbing, l’attività persecutoria deve durare più di 6 mesi e deve essere funzionale alla espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) ad andamento cronico.
Il mobbing, oltre ad essere una grave lesione dei diritti del singolo lavoratore, danneggia le aziende per una ridotta efficienza e produttività mentre nel contempo è nocivo all’equilibrio sociale per le conseguenze sul piano sanitario ed assistenziale che inevitabilmente comporta. Il mobbing ogni anno costa alla collettività circa il 190% della retribuzione annua lorda di ciascun mobbizzato.
Il mobbing è un grosso problema? Chi ne è colpito?
Chiunque, in qualsiasi organizzazione, può essere vittima del mobbing. I risultati di un sondaggio condotto nell’UE mostrano che il 9% dei lavoratori europei, pari a 12 milioni di persone, segnalano di essere stati vittime di mobbing nel 2000 per un periodo di 12 mesi. Si registra comunque un’ampia variazione nella prevalenza segnalata del mobbing nei vari Stati membri dell’UE. È possibile che queste differenze non dipendano soltanto da differenze nel verificarsi del fenomeno, bensì anche a differenze culturali nell’attenzione dedicata al mobbing ed alla sua conseguente segnalazione. La prevalenza del mobbing è massima nei posti di lavoro dove la domanda che ricade sull’individuo è alta, mentre è basso il grado di controllo che l’individuo stesso può esercitare sul proprio lavoro, alzando il livello dell’ansia.
Perché si verifica il mobbing?
Si possono distinguere due tipi di mobbing:
1) quale conseguenza dell’escalation di un conflitto interpersonale;
2) quando la vittima non è coinvolta in un conflitto, ma si trova accidentalmente in una situazione in cui vengono compiuti atti di aggressione da parte di un “mobber”. Fare della vittima un “capro espiatorio” è un esempio di questo tipo di mobbing.
Alcuni fattori suscettibili di aumentare la probabilità del mobbing comprendono:
1. una cultura organizzativa che tollera il mobbing o non lo riconosce come un problema;
2. un cambiamento repentino nell’organizzazione;
3. l’insicurezza del posto di lavoro;
4. la scarsa qualità del rapporto tra il personale e la direzione, nonché un basso livello di soddisfazione nei confronti della leadership;
5. la scarsa qualità del rapporto tra i colleghi;
6. i livelli estremamente elevati delle richieste che vengono avanzati al lavoratore;
7. una politica del personale carente e valori comuni insufficienti;
8. un aumento generalizzato del livello di stress legato all’attività lavorativa;
9. conflitti di ruolo.
Bibliografia:
“Mobbing sul lavoro istruzioni per l’uso” (2002, Rivista FACTS n° 23)
http://www.lavorointernet.org/mobbing-sul-lavoro-cose (gen 09, Mobbing sul lavoro. Cos’è?)
Stress e Mobbing: guida per il medico. Progetto Strategico Ministero della Salute (2000). Prevenzione dei rischi per la salute negli ambienti di vita e di lavoro. U.O. A1 C “Stress e Mobbing”
Responsabile scientifico: Emanuela Fattorini.