A cura di Vera Cabras, Psicologa Psicoterapeuta, Padova
“Star bene a scuola”… il titolo di un libro che ha ispirato numerosi interventi nelle scuole, come ad indicare che spesso l’esperienza scolastica non sempre è ben vissuta, tanto da richiedere interventi ad hoc per ripristinare il famoso clima scolastico positivo, meglio detto benessere scolastico.
Chi si occupa di promozione della salute e del benessere sa quanto difficile è pensare e programmare degli interventi in questo senso, proporli nelle scuole e aiutare queste a credere che è possibile che un giorno la scuola sarà un luogo in cui si respira aria sana e salutare, un buon clima insomma. L’esperienza mi ha fatto capire sempre di più che interventi estremamente complessi, azioni efficaci e programmi con interessanti aspettative, non sempre si adattano al sistema scolastico, già complesso di suo .
Forse, anche se riduttivo e apparentemente banale, un buon ascolto e una buona accettazione, una buona empatia, vecchi e antichi ed estremamente attuali “rimedi della nonna”, sono a mio avviso una delle strategie più efficaci che può essere applicata in ambito scolastico.
Ed è con questo entusiasmo e convinzione che siamo partiti qualche anno fa con le attività dello Sportello di Ascolto in alcune delle Scuole Medie della Provincia di Venezia, tutt’ora attivo.
L’utilizzo del Counseling nelle scuole, nelle sue forme più storiche e per come lo conosciamo ed insegniamo ai nostri allievi, si è rivelato un potente strumento di cambiamento, portatore del famoso clima scolastico positivo e salutare, senza troppi “condizionatori” super sofisticati capaci di modificare il clima in breve tempo.
Il Counseling, come una finestra aperta nelle ore giuste del giorno, porta con se chiari elementi di per sé efficaci, che fanno bene perché “naturali” e necessari per un buon sviluppo dell’essere umano.
Carl Rogers ci parla così di accettazione incondizionata, empatia, autenticità, … qualcuno ogni tanto chiede “come faccio ad averli?”, perché non si trovano nel mercato, così rari e preziosi si trovano in posti quasi impensabili, nel mercato si trovano solo i “condizionatori” superpotenti.
Rogers ci insegna ad essere accettanti in modo incondizionato, ci dice che possiamo riappropriarci della nostra capacità di accettare l’altro, come una genitore fa con il proprio figlio. Per essere accettanti è importante conoscere il nostro sistema valoriale, sapere quali sono le nostre principali convinzioni, dove si insidiano, cosa ci piace e soprattutto cosa non ci piace, prima di imparare ad essere accettanti dobbiamo sapere quanto siamo giudicanti, qual è l’intensità e la forza del nostro giudizio. Se conosciamo la nostra capacità di essere giudicanti possiamo gestirla e metterla sullo sfondo per poterci così aprire all’altro senza ostacoli.
Proviamo a pensare la potenza di un atteggiamento di accettazione di questo tipo nel contesto scolastico che si poggia e si sostiene esclusivamente su sistemi di giudizio, voti, premi e punizioni, genitori ed insegnanti severi… Certo che mettere sullo sfondo tutto questo è pressoché impossibile, per quanto potente e moderno un condizionatore lascia sempre qualcuno scontento (troppo freddo..troppo caldo), resta così la possibilità di aprire la finestra nelle ore giuste, e quell’accettazione diventa brezza che ristora e “ripara”, una boccata d’aria fresca che fa star bene a scuola.
Rogers ci insegna poi ad essere empatici, a comprendere l’altro mettendoci nei suoi panni, senza portarglieli via … Sentirle quello che l’altro sente senza aggiungere i nostri sentimenti, assumere la dimensione del “come se”, provare a vedere con gli occhi dell’altro, senza diventare l’altro o sostituirsi. Essere empatici richiede molta destrezza e agilità per potersi muovere in un luogo pieno di oggetti molto preziosi come sono le nostre emozioni. Chiaramente c’è scritto “non toccare”, soprattutto nei giovani alunni delle nostre scuole che si stupiscono del fatto che qualcuno ascolta le loro emozioni, senza mettere mano dappertutto.
Rogers ci dice anche di essere autentici o meglio ancora congruenti, che a parole sembra lineare, come ripetere le tabelline dopo accettazione incondizionata, empatia ci va l’autenticità…I nostri allievi la imparano bene. Eppure è l’elemento della triade che ad un certo punto sembra scombinare il tutto, e richiede un grande lavoro di equilibri tra ciò che accetto incondizionatamente e (ma) che autenticamente non mi piace. Superata l’incongruenza, si può essere congruenti ed incontrare l’altro con più coraggio.
Il Counseling, ci insegna a guardarci dentro e a ri-trovare e ri-scoprire quelle doti e predisposizioni umane che se messe al servizio di una buona tecnica e conoscenza di se, diventano un vero e proprio intervento terapeutico e di counseling.
Oltre alla triade quindi, in ambito scolastico (come negli altri ambiti di applicazione del counseling) si utilizzano numerose tecniche e strumenti che aiutano a conservare il buon clima e contemporaneamente stimolano variazioni e cambiamenti positivi.
Il principale metodo di intervento che noi proponiamo nelle scuole, e che si avvale e si basa su quanto detto, è un percorso nelle classi delle scuole secondarie di primo grado (ex scuole medie), che coinvolge alunni, insegnanti e genitori.
L’intervento consiste nell’attivazione di uno sportello di counseling, gestito da counselor formati, aperto agli alunni che desiderano incontrare un adulto che offre uno spazio di ascolto e accoglienza non giudicante. All’interno dello sportello e della relazione di fiducia che l’operatore instaura con l’alunno, vengono proposti percorsi di crescita ed evoluzione personale “su misura”, costruiti sui bisogni soggettivi del giovane che si fa ascoltare…
Il metodo e modello della Psicologia Umanistica diventa quindi uno strumento nelle mani di un “sarto” esperto, che con cura e profonda attenzione prende le misure, sceglie colori, materiali, porta la persona ad esprimere ciò che desidera, ad osservare la propria immagine di sé senza giudicarla.
I nostri giovani alunni si stupiscono di fronte a questo, si sentono quasi per la prima volta protagonisti di sé, non presuntuosi o arroganti o irrispettosi perchè non confermano le aspettative dei propri adulti.
Liberi di guardarsi allo specchio, osservano la forma delle propria identità, non ancora del tutto definita, si accorgono delle loro potenti emozioni e di come quei contorni non definiti spariscono del tutto quando l’emozione emerge, come un’onda che fa sparire i segni freschi sulla sabbia.
E non è una novità che nella preadolescenza e nell’adolescenza le emozioni fanno il loro ingresso spesso senza avvisare, e l’adulto che ormai si è già dimenticato di quel momento della propria vita, propone sedute a tavolino interminabili per ragionare insieme e capire come fare e cosa fare soprattutto. E di solito la sensazione di non essere ascoltati è la regola, l’impotenza di fronte alla potenza di chi vuole e ha bisogno (e ed è ancora in tempo!) di togliersi quell’abito, troppo stretto, troppo corto, troppo lungo, troppo largo.
Perché non sedersi di fronte ed accogliere questa preziosa richiesta, che non è presunzione o arroganza o mancanza di rispetto, ancora una volta proviamo ad essere sarti e a confezionare quel famoso abito su misura, originale e non da grandi magazzini, comodo e non banale.
Guido Petter, grande esperto e docente di Psicologia dell’Età Evolutiva, descrive simbolicamente il percorso di crescita di un individuo come una partita di calcio, dove il primo tempo corrisponde al periodo dell’infanzia (sino ai 10 anni circa) e il secondo tempo al periodo della preadolescenza-adolescenza (dagli 11 ai 18 anni circa): quanti più goal si fanno nel primo tempo tante più sono le possibilità di vincere anche il secondo (dove di solito si arriva più stanchi e bisogna invece mettercela tutta!).
Questi goal metaforicamente corrispondono alla capacità del genitore di soddisfare i bisogni principali (e fondamentali) del bambino/ragazzo.
Un primo bisogno da soddisfare è quello di sicurezza di base: poter offrire al proprio figlio una “sufficientemente buona” esperienza di cura e protezione, farlo sentire al sicuro, farlo crescere in un ambiente sicuro e stabile. Se il bisogno di sicurezza è soddisfatto, il genitore si aggiudica un punto prezioso per la vittoria, un goal! Perché un bambino possa sentirsi al sicuro nella propria famiglia, è importante che i genitori siano disponibili in modo prevedibile, sia dal punto di vista fisico che psicologico, esperienze negative di maltrattamenti o liti, lutti o abbandoni prolungati possono minare lo sviluppo del senso di sicurezza e quindi condizionare il processo di sviluppo del bambino
Un altro bisogno da soddisfare è legato alle esperienze relazionali, ai rapporti interpersonali più l’esperienza relazionale è positiva e ricca, maggiore sarà il senso di adeguatezza e migliore sarà la capacità di adattamento all’ambiente.
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