La ricerca ha dimostrato che prima dell’età di otto anni, manca la capacità di formulare una identità chiara e distinta di se stessi.
La considerazione positiva o negativa ricevuta dai genitori ha un peso determinante sul modo di comportarsi e se molti dei comportamenti non erano accettabili per loro, inevitabilmente si cresce con un senso di inadeguatezza.
In aggiunta, una giudizio negativo da parte dei genitori può, e frequentemente è così, andare molto oltre la disapprovazione di comportamenti specifici.
Per esempio, i genitori possono trasmettere il messaggio di essere egoisti o non abbastanza attraenti, intelligenti, bravi o gentili e così via.
Ciò si traduce in una sottile forma di abuso affettivo che fa in modo che solo pochi si accettino incondizionatamente.
Di conseguenza da adulti si sperimentano le stesse sensazioni di rifiuto provate a causa di genitori criticavano troppo. E questa tendenza all’autocritica è al cuore della maggior parte dei problemi che, da adulti, ci si crea involontariamente.
In altre parole, visto come opera la psiche umana, è quasi impossibile non comportarsi con se stessi similmente a come si erano comportati i propri genitori originariamente.
La cosa tragica è che da adulti si trovano tutti i modi per perpetuare quel dolore irrisolto.
Se si è stati frequentemente ignorati, rimproverati, incolpati, castigati, o puniti fisicamente, in qualche modo si riesce a continuare questo affronto a se stessi.
Quando metaforicamente ci si frusta rimproverandosi stiamo tipicamente seguendo la guida dei propri genitori.
Avendo dovuto dipendere da loro così tanto da piccoli e non avendo avuto la possibilità di mettere in dubbio il loro verdetto su di noi si è portati ad accettare le loro valutazioni.
E’ risaputo che almeno alcuni genitori sono più propensi a far notare quello che dà loro fastidio piuttosto che gratificare per i comportamenti positivi.
A questo dobbiamo aggiungere la disapprovazione e le critiche che si ricevono da fratelli, parenti, insegnanti e, specialmente, propri pari.
In molti condividono la tendenza a incolpare se stessi, o a vedersi in qualche modo imperfetti e sofferenti dello stesso “virus” cronico dell’insicurezza.
Accettare se stessi incondizionatamente, nonostante i propri difetti, sarebbe quasi automatico se i genitori trasmettessero messaggi positivi sui figli.
Ma se questo non è il proprio caso, bisogna imparare da soli a “certificarsi”, a darsi il diploma della vita.
Sto quasi affermando che confermare se stessi “a prescindere” è possibile a patto di superare l’abitudine di giudicarsi costantemente. Per sperimentare un senso di essere adeguati e completi è necessario prima accettare la sfida dell’accettazione completa e incondizionata.
Come dice Robert Holden nel suo libro Happiness Now!: “Felicità e accettazione vanno a braccetto”.
Infatti, il proprio livello di accettazione determina il proprio livello di felicità. Più accettazione si ha, più felicità ci si concederà di ricevere e godere.
In altre parole, si gode di tanta felicità quanta si crede di meritarne.