di Elvino Miali
E’ possibile vincere l’ansia da prestazione? Qual’è il modo migliore per superarla? E’ possibile vincere e superare l’ansia anticipatoria? Risponderò più direttamente a queste domande in un prossimo articolo dal titolo “Gestire l’ansia da prestazione. Consigli ed istruzioni per l’uso”.
Intanto vorrei ragionare un po’ sulle premesse, sulle cause e sui più comuni fattori predisponenti ad un fenomeno che assilla molte persone e sempre di più, dato l’ambiente sempre più competitivo in cui viviamo.
Una frase mi colpì quando misi piede per la prima volta alla scuola di formazione per psicoterapeuti dell’ASPIC: “educare i sentimenti emozionando la ragione”. Eureka! È questa la strada, mi dissi. Allora capii che integrare emozione e ragione sarebbe stato uno scopo importantissimo della psicoterapia oltre che del mio personale percorso di crescita.
Una persona sana è una persona nella quale mente razionale e mente emozionale sono perfettamente integrate tra di loro e questo si evince dalla congruenza che traspare osservando queste persone.
A proposito di ansia da prestazione, coloro sono liberi dall’assedio dei suoi sintomi hanno una caratteristica che spicca su tutte le altre: sono impegnate in qualcosa che hanno scelto con la mente e con il cuore, sono ispirate direttamente dal fuoco della loro passione e la loro intenzione cosciente è perfettamente allineata con le forze interiori che derivano dal loro inconscio.
A questo proposito, amo paragonare la mente razionale al fantino e la mente emozionale al cavallo: quando fantino e cavallo vogliono andare nella stessa direzione, la forza del cavallo e l’intelligenza del fantino fanno sì che gli obiettivi vengano raggiunti con gioia e soddisfazione.
Purtroppo le cose non vanno sempre così.
Sarà capitato a tutti almeno una volta nella vita di avvertire un freno, una resistenza, una apparentemente inspiegabile difficoltà a perseguire quello che ci sembrava un obiettivo buono e giusto, condivisibile e quant’altro. In questi casi siamo di fronte ad un non allineamento tra il volere della mente razionale che ha deciso e scelto un obiettivo e la parte emozionale, prevalentemente inconscia, che lavora secondo altre regole e a cui non sempre piace che si facciano i “conti senza l’oste”. In altre parole, senza arrivare agli estremi di una personalità perennemente scissa, e ce ne sono, abbiamo una sorta di intelligenza interiore che spesso fa da contrappeso alle decisioni della mente “ufficiale”, quella razionale, e lo fa per il nostro bene, per il nostro equilibrio.
Ci sono due ordini di ragioni per cui la nostra parte emotiva si può opporre alle decisioni della mente razionale e dare luogo all’incongruenza e alle resistenze di cui parliamo.
La prima di queste ragioni è quella di una vera e propria incongruenza tra due voleri, una sorta di conflitto tra parti contrastanti, di cui la persona può all’inizio essere poco o per niente consapevole.
Poniamo il caso che per compiacere un genitore un figlio rinunci alla sua passione per la musica per fare l’ingegnere, strada invece vista favorevolmente dal padre. Il figlio può non essere consapevole di aver mortificato una sua passione per non perdere l’approvazione del padre ed avvertire solo una vaga insodisfazione o un sentimento di ansia che non sa interpretare e che fa in modo che la strada dell’ingegneria gli sembri ardua o vuota e poco stimolante.
In questo caso il figlio per non tradire il padre ha dovuto tradire se stesso ( che è ancora peggio ).
La seconda grande ragione di incongruenza tra mente razionale e mente emotiva si menifesta nei casi di ansia da prestazione.
L’ ansia da prestazione è quella strana sensazione di pericolo che si avverte quando ci si avvicina a realizzare qualcosa di importante. Normalmente più alta è la posta in gioco, più aumenta l’ansia. L’ansia può essere fonte di impegno e di concentrazione e può essere un fattore importante per migliorare le prestazioni. Tuttavia quella stessa ansia, man mano che supera una certa soglia, si trasforma in un tipo di emozione che sopraffà la persona, la quale si ritrova a vivere con paura e disagio anche quelle attività che pure lo appassionano, vedi un pianista ad un concerto con la paura del palcoscenico o uno sportivo alle prese con una partita importante, ecc.
Nel caso dell’ansia da prestazione l’individuo può anche aver scelto la strada che sentiva buon aper sé. Prendiamo l’esempio di un tennista, e poniamo il caso che il ragazzo abbia fatto una scelta in piena autonomia, insomma, poniamo che non volesse fare inconsciamente il ballerino, voleva fare proprio il tennista!
Ci sono dei casi in cui un obiettivo è “condiviso” da mente razionale e mente emozionale, ed in cui la persona è assolutamente allineata rispetto ai valori e ai principi che motivano la scelta. Allora perché la persona va in ansia man mano che si avvicina il momento della sua piena realizzazione? Perché accade che un tennista, che vuole fare il tennista, che ha una passione per il tennis, che non glielo ha prescritto nessun dottore, di fronte all’opportunità di vincere una partita importante, se la fa sotto dalla paura?
Perché esiste l’ansia da performance ( o da prestazione)? E la paura di vincere?
Per quale strana ragione si verifica che in occasione dei momenti cruciali il rendimento si abbassa nella maggior parte dei giocatori, mentre solo i grandi campioni hanno proprio il fenomento contrario: cioè giocano meglio sotto pressione e i punti importanti?
Addirittura nel tennis è molto comune venire impressionati dall’osservazione di un giocatore in fase di palleggio per poi scoprirne tutto un altro dal momento in cui comincia la partita!
Altri due comuni contesti in cui molti soffrono di ansia da prestazione sono quello scolastico (le interrogazioni o gli esami), il public speaking (parlare in pubblico) e quello delle relazioni intime (sessuali per intenderci).
Molto più comuni le prime, più “private” e nascoste le ultime, in tutti i casi la persona ha la netta sensazione di non avere il controllo di se stesso, diciamo che il famoso fantino non riesce ad andare d’accordo con il cavallo, che fa un po’ il buono ed il cattivo tempo.
A chi non è capitato di “farsela sotto dalla paura” alla vigilia di un esame universtario importante, di avere la sensazione di non ricordare nulla di quello che si era studiato per mesi. Nella maggior parte dei casi questa tensione svanisce miracolosamente nel momento in cui, per rispondere alla prima domanda, ci si lascia attraversare dal fiume di parole della risposta. In questo caso l’adrenalina migliora le performance del candidato.
In altri casi si assistono a scene più o meno drammatiche, con gente che si sente male, che non riesce a spiaccicare una parola, ecc. E’ il caso in cui l’ansia da prestazione è tale da prendere il sopravvento sulla persona e sulle sua capacità di cavarsela nei momenti di stress.
Le cause dell’ansia da prestazione.
Citerò i più comuni fattori che predispongono all’ansia da prestazione.
- Quanto più alta è la posta in gioco e quanto maggiore è l’importanza percepita del compito che si svolge, tanto più il livello di ansia si alza. Può trattarsi di un’ esame, un match, un’occasione di public speaking o l’incontro con una persona importante. Parlo di importanza percepita in quanto è proprio la consapevolezza che fa si che la tensione aumenti. Paradossalmente se la persona fosse ignara di quello che si sta “giocando”, andrebbe via tranquilla.
Tra i fattori che contribuiscono ad aumentare l’importanza percepita di un evento vi sono i pensieri anticipatori rispetto alle conseguenze positive o negative di un certo esito.
Ci sono persone che sono naturalmente attratte dalla gioia e dal benessere; altre la cui massima aspirazione è evitare la sofferenza. Vediamo insieme alcuni esempi di sofferenza che chi soffre di ansia da prestazione desidera ardentemente evitare.
Mettiamo il caso di uno studente che viva sotto l’incubo di un padre padrone, che non perdona certo gli insuccessi del proprio figlio; o il caso di una giovane ballerina alla prova del saggio, sotto gli occhi di genitori che alla fine della prova manifestino il loro sommo dispiacereper un “ottavo” posto in classifica..
E’ chiaro che ad ogni nuova prova la persona sia sottoposta ad una pressione tale da rischiare fortemente una riduzione del rendimento a causa dell’ansia.
Se ogni volta si tratta di una questione di vita o di morte, il terrore prenderà presto il posto dell’eccitazione e dell’entusiasmo.
Una situazione simile e che può coesistere alla precedente è quella di non ritenersi all’altezza di reggere l’impatto emotivo di una vittoria. A dire il vero questo è un processo inconscio, poiché è chiato che razionalmente la persona vorrebbe il successo, ma il successo comporta la capacità di tollerare e confrontarsi con un livello alto di tensione, che la persona percepisce come eccessiva. A questo proposito mi viene in mente una frase di Nelson Mandela: “non abbiamo paura delle nostre ombre, bensì della nostra luce, di risplendere”.
2. Un altro fattore che predispone all’ansia da prestazione è indubbiamente il perfezionismo: la tendenza a non ritenere adeguato un risultato che non sia vicino alla perfezione. Come diceva Frits Perls, fondatore della Gestalt therapy, il perfezionismo è una malattia tipicamente umana. Non esiste infatti in natura, né tra gli animali né tanto meno tra i vegetali la pretesa di essere diversi da quello che si è. Immaginate una quercia che la mattina si risvegli con la voglia di farsi un lifting perchè non si accetta così com’è. Ebbene tra gli umani accade che lo stile perfezionista dei genitori, come abbiamo visto, possa mettere molta pressione nei figli, ma il problema non si risolve allontanandosi da essi, come avviene naturalmente da adulti, poiché accade spesso che il genitore “critico” venga interiorizzato. Esso dunque si manifesta attraverso modalità che possono assomigliare ad una forza che boicotta piuttosto che sostenere. Ecco che l’abitudine a non provare soddisfazione per le proprie azioni non abbastanza performanti, così come si vorrebbe, crei facilmente le premesse per l’ansia da prestazione.
3. Una terza condizione che complica il quadro delle vittime di ansia da prestazione è costituita dal ricordo dei fallimenti pregressi: esperienze negative, se non vere e proprie esperienze traumatiche, che portano la persona a strutturare nella propria mente delle convinzioni su di sé che diventano autolimitanti. Solo per citare le più comuni: “è impossibile per me”, “non sono capace”, “non ho il controllo”, “non me lo merito”, ecc. pensieri che si manifestano sotto forma di “voce critica interiore” e che contribuiscono e frenare l’autorealizzazione dell’individuo.
4. Le radici dell’ansia da prestazione spesso partono dall’infanzia, una fase della vita dove i condizionamenti sociali, più direttamente parentali in questo caso, pongono le premesse dell’autostima della futura persona adulta; in linea di massima una persona che sia cresciuta in un ambiente amorevole e accettante nei suoi confronti ha la migliore assicurazione sulla sua felicità futura. Al contrario modelli “negativi” da questo punto di vista sono quei genitori che hanno trasmesso ai figli le loro ansie, le loro aspettative cariche di nostalgiche mancate autorealizzazioni.
A questo punto la domanda sorge spontanea: ci sono rimedi, terapie, soluzioni per l’ansia da prestazione?
Tratterò questa seconda parte nel prossimo articolo: “Gestire l’ansia da prestazione. Consigli ed istruzioni per l’uso”.
Elvino Miali,
medico psicoterapeuta
riceve a Mestre in via Carducci 13b, tel 041 950942
1 commento. Nuovo commento
Complimenti per l’articolo! L’ho letto con molto interesse e ora aspatto il seguito per provare a guarire da questa “malattia””