

Quante volte il tuo umore è stato condizionato da una cattiva giornata? Ti e’ capitato di non accettare una parte del tuo corpo? Quante volte avresti voluto che i tuoi figli o il tuo partner cambiassero idea, si comportassero diversamente o avessero abitudini differenti?
Quotidianamente, nel mio lavoro, vedo persone cui sono accadute circostanze spiacevoli o sfavorevoli: la cosa curiosa è che la maggior parte del loro malessere non e’ dovuta agli eventi in sé, ma alle reazioni conseguenti a cio’ che capitava.
Ci sono sostanzialmente due modi per affrontare la realtà e le situazioni che accadono.
Imprecando, lottando, non accettando: in questo caso le persone vogliono assolutamente cambiare l’evidenza e la realtà.
Ma questo diventa frustante: e’ come pretendere che una giornata di pioggia scaldi come una giornata di sole o che un gatto possa abbaiare come un cane.
C’è chi, invece, dopo un comprensibile momento di smarrimento, si ferma, respira profondamente e si pone qualche domanda: “C’è qualcosa che non ho considerato? Qualche informazione che mi manca e che mi potrebbe aiutare a comprendere meglio la situazione?”
E così questi individui, preso atto della realtà, recuperano calma e soprattutto lucidità: in quel momento possono prendere una posizione e persino modificare i loro punti di vista.
Soprattutto, cio’ che fanno, e’ di partire dal passo e dal punto in cui sono: per poter decidere di andare verso una direzione, occorre accettare dove ci si trova, momento per momento.
Le obiezioni alla logica dell’accettazione sono comprensibili e mi vengono poste naturalmente quando tendo a ‘sponsorizzare’ questo modo di vedere le cose.
Mi viene chiesto: “Come posso accettare cio’ che proprio non sopporto?” oppure “Se mi faccio andare bene le cose cosi come sono, non perdo poi la spinta alla motivazione? L’incentivo a migliorare o a cambiare le cose che non mi piacciono, che non rispettano i miei valori, la mia personalita’, i miei principi, il mio modo di vedere?”
C’e’ un esempio che porto spesso per spiegare questo fenomeno: si tratta di una famosa vignetta che raffigura un pesce nell’atto di mangiare un altro pesce piu’ piccolo.
Chiaramente, osservando il grosso pesce che sta ‘commettendo il crimine’ di nutrirsi, siamo portati a pensare che sia lui il ‘cattivo’ e che il piccolo stia avendo la peggio nella sfortunata situazione.
In realta’ puo’ non essere cosi: se allargassimo la cornice del quadro potremmo forse scoprire che c’e’ un pesce ancora piu’ grande del primo, che sta per divorare il pesce ‘medio’, che a sua si vuole cibare del piccolo.
A questo punto, la considerazione che abbiamo del pesce iniziale cambia, perche’ percepiremo anche lui come vittima di qualcosa di piu’ grande.
Cosa ha fatto la differenza? L’avere piu’ informazioni, l’ampliamento dell’ottica di riferimento con cui guardiamo il mondo.
In molti contesti della vita e’ possibile che vengano a mancare quelle conoscenze che ci permettono di comprenderli e, quindi, di accettarli.
(Fine prima parte)